Un mare verde nella Goccia di Bovisa
Ho conosciuto la Chiesa Valdese e la Goccia di Bovisa nello stesso anno, il 2012, e da allora le mie due appartenenze, i miei due impegni, hanno straordinariamente proceduto affiancati.
Da una parte la imprevista occasione di trovare un luogo e persone con le quali finalmente condividere i modi e i contenuti della mia fede in Dio e nel Gesù del Vangelo.
Dall'altra l'improvvisa opportunità (derivata dal mio recente trasloco in Bovisa, nella periferia Nord-ovest di Milano) di partecipare a una battaglia ecologista per salvare un grande spazio verde in pericolo di edificazione, assieme a compagni d'avventura mossi dalla mia stessa sensibilità.
La Goccia si chiama così perchè sulla mappa ha questa forma dovuta al fatto di essere delimitata dalla ferrovia Trenord.
Era l'area delle ex Officine del Gas che hanno illuminato e riscaldato Milano per quasi un secolo. Quando le Officine hanno smesso di funzionare, il Corpo forestale dello Stato, nel 1994, ha censito all'interno della Goccia più di 2000 alberi piantati nel corso del tempo, pioppi, platani, bagolari, tigli, paulonie, robinie ailanti, cresciuti fino a formare un bosco ampio quasi come parco Sempione, ma le cui radici sprofondano nell'inquinamento prodotto dallo sversamento dei derivati dall'utilizzo del carbone e del gas.
Quello che si può definire “un bel disastro”. Ricco anche di archeologia industriale da recuperare.
Per capire l'importanza e la bellezza del luogo basta sbarcare alla stazione di Bovisa e camminare sul perimetro della lunghissima recinzione oltre la quale verdeggia un parco pieno di fascino, e anche di più per il fatto di essere nel cuore di Milano. L'immagine simbolo è quella dello scheletro del gasometro, detto “Torre Eiffel” della Bovisa.
La Goccia è in gran parte di proprietà del Comune e del Politecnico. Il nostro Comitato ha subito deciso che gli alberi erano, anche secondo il parere della Forestale, un tesoro che andava salvato da tentativi di speculazione edilizia contenuti nel Piano di governo del territorio. E la stessa cosa è stata chiesta dai cittadini della zona alla fine di un workshop del 2015. Come recita il titolo del seminario organizzato agli inizi di marzo dalla commissione globalizzazione e ambiente della Fcei “Il creato non è in vendita”.
E' vero che il terreno contiene veleni, ma i nostri esperti, avendo preso visione delle analisi, ipotizzano che nel corso del tempo, con le piogge e la neve e il formarsi di sempre nuovo humus, siano a una profondità tale da non danneggiare chi cammina sulla superficie. Mentre, essendo risultata la falda priva degli inquinanti prodotti dalle Officine, si può dire che ormai quel che doveva passare nell'acqua ha finito di passare.
Quindi siamo contrari all'ipotesi di abbattere e sradicare gli alberi per scavare in profondità e portare via la terra di un territorio vasto quasi 40 ettari. Operazione necessaria solo nell'ipotesi di voler costruire.
E proponiamo che si sperimentino invece le recenti tecniche di fito e bioremediation, che agiscono contro gli inquinanti attraverso le radici di certe piante come canapa, girasoli e salici piangenti, o che si avvalgono dell'azione di microbi e batteri.
Col tempo il bosco Goccia potrebbe funzionare da collegamento tra il verde a Nord della città, e, attraverso l'ex scalo Farini, la nuova zona dei grattacieli di Porta Nuova, permettendo quindi un Central Park milanese dal fronte di diversi chilometri da percorrersi a piedi e in bicicletta. Un sogno, ma perfettamente realizzabile se il bisogno e il desiderio di verde della città sarà rispettato.
Francesca Grazzini